Data la particolare situazione di emergenza in cui ci troviamo appare utile fare chiarezza su un grande protagonista di questo periodo: lo smart working.
Lo smart working in risposta al coronavirus
Come ben sappiamo lo smart working è stato un grande protagonista durante il lockdown dovuto all’epidemia di coronavirus.
Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, l’adozione del lavoro agile in sostituzione del lavoro tradizionale è stata incentivata ove possibile anche senza la necessità di un previo accordo tra datore e lavoratore. Tuttavia è stato uno smart working non programmato e adattato alla situazione di emergenza che ha visto i lavoratori confinati all’interno delle loro abitazioni senza quella flessibilità di tempo e di spazio che lo caratterizza e lo rendono così fondamentale per il lavoro del futuro. È stato un passaggio obbligato che ha colto impreparate molte aziende causando non pochi disagi. Le difficoltà riscontrate riguardano la disponibilità di dispositivi tecnologici e la connessione. Infatti molto spesso pc e tablet vengono condivisi dai vari membri di una famiglia e le aziende non possiedono strumenti a sufficienza per tutti i dipendenti. Molte aziende erano sprovviste di sistemi di condivisione in rete, banche dati e più in generale di una digitalizzazione sufficiente a supportare tutti i processi in maniera virtuale.
Senza dubbio questa è stata l’occasione, seppur forzata, di sperimentare una soluzione lavorativa nuova. Purtroppo però, l’adozione di questo metodo in modo sbagliato, ha generato confusione. Ed ora ti spiego il perchè.
Che cos’è lo smart working? Definizione e normative
Se si ricerca la definizione di smart working in rete o in libri e riviste specializzate si nota che nessuno fornisce una definizione identica per questo concetto. In Italia lo smart working viene chiamato “lavoro agile” ed è disciplinato dalla legge n° 81 del 22 maggio 2017 in cui emerge che:
è un modo di lavorare strutturato per obiettivi;
il lavoratore può svolgere le proprie mansioni sia all’interno che all’esterno dell’azienda e senza precisi vincoli di orario;
viene implementato grazie all’ausilio di supporti tecnologici che consentano la connessione online e la collaborazione tra colleghi e con l’organizzazione nel suo complesso.
Alcune precisazioni a livello legislativo:
Diversamente dal telelavoro non è un contratto. È un accordo tra datore e lavoratore, applicabile a qualunque contratto con mansioni compatibili, che deve essere redatto in forma scritta.
Dal 12 settembre 2017 sono previsti sgravi contributivi per le imprese che stipulano contratti collettivi recanti almeno due misure di conciliazione innovative e migliorative per favorire l’equilibrio tra vita privata e professionale tra cui lo smart working.
Per facilitare l’adozione di questo strumento il portale del Ministero del Lavoro dispone di una piattaforma per la trasmissione degli accordi individuali di lavoro agile.
La legge di bilancio n. 145/2018 sancisce la priorità di accesso al lavoro agile per le lavoratrici madri nei tre anni successivi alla conclusione del congedo di maternità e ai lavoratori con figli disabili.
A partire dal 1 marzo 2020 è possibile accedere alla procedura semplificata di adozione dello smart working. Maggiori informazioni si possono trovare nel sito del Ministero del Lavoro.
In ambito di smart working è necessario avere ben presente la regolamentazione sulla tutela della privacy, la riservatezza e il trattamento dei dati personali. Le due norme più importanti a questo riguardo sono il d.lgs. 196/2003 cosiddetto “Codice Privacy” e il GDPR (General Data Protection Regulation) che è il regolamento europeo sulla protezione dei dati personali. La modalità di lavoro agile prevede che l’azienda “entri in casa” del lavoratore e per questo motivo è di estrema importanza la tutela della sua privacy, per proteggerlo da intrusioni e forme di controllo invasive da parte del datore, come pure per tutelare la riservatezza, l’identità personale e i dati personali. D’altra parte un lavoratore agile può contattare i clienti, usare strumenti come Skype, accedere da casa al database aziendale e dunque a tutta una serie di informazioni che vanno anch’esse custodite con la massima attenzione. Un approccio disinformato al lavoro agile potrebbe portare all’infrazione di tali regole.
La legge garantisce agli smart worker parità di trattamento economico, normativo e fiscale rispetto ai colleghi che svolgono le medesime mansioni all’interno dell’azienda.
Ad oggi però, anche a causa dell’esigenza immediata, lo smart working è stato trasformato in telelavoro, perdendo le sue fondamentali caratteristiche e vantaggi per le aziende. Ora vedremo il perchè.
Lo smart working in Italia
Lo smart working in Italia, ancora prima della pandemia, si stava diffondendo in maniera crescente negli ultimi anni. Da circa 480mila casi nel 2018 si è giunti a 570mila casi nel 2019, registrando un aumento del 20%.
Come si vede nel grafico sopra illustrato la maggior parte dei progetti strutturati è intrapresa dalle grandi imprese, mentre le PMI sono spesso diffidenti di fronte a questa modalità di lavoro. Ciò è spesso dovuto ad una scarsa conoscenza del fenomeno che viene percepito come difficile da applicare in realtà di dimensioni contenute, in cui si considera ancora imprescindibile la presenza dei dipendenti in azienda e dove gli investimenti nella digitalizzazione sono esigui; in questi casi è necessario realizzare un percorso graduale che parta dall’efficientamento dell’organizzazione per giungere alla realizzazione di modelli “ad hoc” che rispondano alle particolari esigenze.
Non è di certo solo colpa degli imprenditori delle PMI italiane se questo metodo di lavoro non viene sfruttato in modo corretto. Purtroppo però, se non si vuole farsi schiacciare dalla concorrenza, il passaggio della digitalizzazione è ormai necessario. Anzi, se non l’hai già intrapreso sei in ritardo.
Lo smart working, ma nella pratica
Per definire cos’è lo smart working nella pratica un primo aspetto che merita chiarezza è che NON è telelavoro.
Facciamo chiarezza: quello che molte aziende hanno fatto in questi mesi non è smart working. Hanno semplicemente preso le attività giornaliere del dipendente che svolgeva in ufficio e le hanno spostate nella loro abitazione, affidandogli gli stessi incarichi e modalità del luogo di lavoro. Questo è stato determinato chiaramente dal poco tempo avuto a disposizione per assimilare la novità, la necessità immediata dovuta al lockdown e l’errato utilizzo da parte del Governo e dei media del termine. In realtà è tutta un’altra cosa: si tratta di una visione molto più complessa ma che può restituire enormi vantaggi per le aziende.
Intraprendere un progetto di smart working non consiste banalmente nel far lavorare il dipendente da casa per qualche giorno al mese. Richiede un vero e proprio cambio di mentalità, una ridefinizione delle policy aziendali e dell’organizzazione nel suo complesso e come tale deve essere gestito.
È necessario che da parte del lavoratore ci sia un forte commitment, cioè massimo impegno e identificazione con quelli che sono gli obiettivi dell’azienda.
Da parte del management bisogna che ci sia fiducia nei confronti dei lavoratori, capacità di guidare e gestire il cambiamento e conoscenza approfondita della propria organizzazione, sia per quanto riguarda ciò che accade all’interno dell’azienda (abitudini, aspirazioni, “skills”) sia per quanto attiene la loro vita privata (bisogni, situazione familiare, distanza dal luogo di lavoro, ecc.).
Non si lavora più ad orario, ma per obiettivi. Lo smart worker ha un preciso compito o progetto da realizzare in un determinato arco di tempo, potendo scegliere di organizzarsi in modo flessibile, così da essere più produttivo. Un progetto strutturato di smart working solitamente prevede di lavorare da remoto su uno/due/tre giorni alla settimana. Avendo una buona organizzazione all’interno dell’azienda si possono destinare queste giornate a svolgere quei lavori che richiedono maggiore concentrazione e che non necessitano della presenza in sede.
Un altro aspetto non di secondaria importanza è la disponibilità di infrastrutture tecnologiche ed informatiche. L’azienda dovrà fornire ai lavoratori i dispositivi necessari e strutturare un sistema di condivisione in rete per permettere la comunicazione e la coordinazione tra le varie parti dell’azienda, sempre utilizzando sistemi di sicurezza dei dati e dei sistemi aziendali.
I pilastri su cui poggia lo smart working
I pilastri su cui poggia lo smart working sono le tecnologie, gli spazi e le competenze.
Le tecnologie adottate sono il mezzo fondamentale per rendere possibile il lavoro agile creando un sistema di comunicazione e collaborazione virtuale che tiene uniti tutti i lavoratori, seppur indipendentemente da orari e luoghi di lavoro. Innanzitutto è necessario fare un’analisi della situazione attuale dell’azienda, delle tecnologie e delle competenze digitali di cui dispone per poter realizzare un intervento “ad hoc” senza andare a creare difficoltà. Le tecnologie che possono essere implementate sono raggruppabili in quattro macro-categorie:
Social Collaboration: sono strumenti che supportano la comunicazione sia in tempo reale che asincrona (ad esempio la condivisione di un’agenda digitale, messaggistica, webconference). In questo modo non è necessario incontrare colleghi o clienti nello stesso luogo e momento risparmiando in termini economici e di tempo.
Security: sono soluzioni tecnologiche che permettono l’accesso facile e immediato a programmi, dati e informazioni in modo sicuro tutelando la loro integrità.
Mobility: sono dispositivi che consentono al lavoratore di poter svolgere la sua mansione in qualunque luogo e momento senza doversi trovare nella sua “postazione fissa” (PC portatili, tablet, smartphone); utili sia per lavorare fuori dall’azienda che per favorire la mobilità al suo interno. La diffusione di questa strumentazione tra i lavoratori non sempre è sufficiente e spesso per far fronte a questa necessità spesso si ricorre al “policy di BYOD” (Bring Your Oun Device) che consiste nell’utilizzo dei device personali dei lavoratori per accedere al sistema di rete aziendale.
Workspace Technology: sono tecnologie che rendono più fruibile l’utilizzo degli spazi fisici rendendo possibile il lavoro agile, come il Wi-Fi, sistemi di videoconferenza, aree stampa cui è possibile accedere inserendo le proprie credenziali o utilizzando il proprio badge.
L’altro pilastro è la creazione di spazi ispirati alla flessibilità e alla condivisione di idee, cioè postazioni disponibili sia all’interno che all’esterno della sede lavorativa in cui chiunque possa lavorare utilizzando i propri device avendo a disposizione infrastrutture tecnologiche che permettano la connessione Wi-Fi o stampanti ad uso comune.
Per quanto riguarda le competenze è importante che i lavoratori sviluppino, oltre al know-how specifico necessario allo svolgimento delle loro mansioni particolari, le cosiddette “digital soft skills” che gli consentono di ripensare i prodotti e i processi produttivi in ottica digitale, collaborare efficacemente in team virtuali, utilizzare in modo consapevole le diverse strumentazioni a seconda dei casi.
Vantaggi e svantaggi dello smart working
Dalle ricerche è emerso che gli smart worker sono maggiormente soddisfatti del proprio lavoro rispetto ai colleghi che lavorano in modo tradizionale (76% i primi contro il 55% dei secondi) ed hanno un miglior grado di commitment con l’azienda in cui lavorano (33% contro il 21%). Quali sono i vantaggi per i lavoratori?
miglioramento del work-life balance, cioè una migliore coniugazione delle esigenze di vita privata e lavorativa;
riduzione del tempo impiegato negli spostamenti;
risparmio economico legato agli spostamenti;
aumento del coinvolgimento e della soddisfazione per il lavoro svolto che fa crescere la motivazione al miglioramento continuo;
migliori relazioni con colleghi e datori di lavoro.
E gli svantaggi?
Le problematiche che i lavoratori riscontrano, soprattutto nelle fasi iniziali, sono di carattere organizzativo (pianificazione del lavoro e gestione degli imprevisti) e relative all’utilizzo della strumentazione tecnologica (scarso grado di digitalizzazione dei processi e scarsa od obsoleta conoscenza da parte dei collaboratori). Queste difficoltà sono facilmente risolvibili strutturando un modello organizzativo funzionale che va testato preliminarmente in presenza.
Quali sono i vantaggi che riscontrano le aziende?
aumento della produttività (intorno al 15% per le aziende che adottano un modello strutturato);
riduzione dell’assenteismo e del tasso di turnover;
si riescono ad attrarre i migliori talenti;
contenimento degli spazi in quanto non è più necessaria una postazione fissa per ciascun lavoratore;
contenimento dei costi relativi ad esempio trasferte e buoni pasto.
E quali potrebbero essere le difficoltà?
Il processo innovativo di cambiamento investe tutti gli ambiti aziendali e pertanto richiede un grande investimento economico e di tempo. Il management deve formarsi per guidare e gestire il cambiamento. Si deve realizzare un software di condivisione di tutto il materiale di lavoro e dotarsi della strumentazione tecnologica adeguata.
Caso studio: Pirelli Italia
Un progetto di notevole importanza sullo scenario italiano è quello sviluppato da Pirelli, azienda produttrice di pneumatici per auto, moto e biciclette, la cui mission è: “Crediamo nel far avanzare tutti attraverso il progresso tecnologico e sociale spingendo costantemente l’innovazione in maniera colta e rispettosa”.
In accordo con quanto affermato nella sua mission, l’azienda nel 2016 ha avviato il progetto “Pirelli Smart Way” che ha inizialmente coinvolto dirigenti e lavoratori dei settori amministrativi, gestionali e della “supply chain” per poi essere esteso al resto della popolazione aziendale che lavora in questo modo.
La formula utilizzata prevede che per accedere al progetto ciascun lavoratore debba seguire un percorso di formazione obbligatoria e superare un test di verifica; i temi trattati riguardano le nuove modalità di lavoro, la salute e sicurezza sul lavoro, la protezione dei dati e l’utilizzo delle infrastrutture tecnologiche.
A ciascun lavoratore vengono forniti i device tecnologici necessari a svolgere il proprio lavoro, essi da parte loro devono garantire una connessione adeguata a quella richiesta dall’azienda.
Il modello attraverso cui viene implementato il lavoro agile prevede la possibilità di lavorare da remoto per tre giorni al mese che possono essere flessibilmente concordati con il proprio responsabile; il lavoro notturno è espressamente vietato, ma non ci sono precisi vincoli di orario da rispettare a patto che vi sia da parte del lavoratore un’adeguata flessibilità con gli orari che l’organizzazione ha in azienda.
I costi principali derivanti dall’adozione dello smart working sono attribuibili all’infrastruttura tecnologica che deve essere sviluppata in ragione delle maggiori necessità di collegamento e collaborazione a distanza e ai costi interni relativi a sondaggi sul gradimento, allo sviluppo del progetto, a corsi di formazione del personale e alla comunicazione.
Al termine del progetto il 99% dei responsabili e dei collaboratori è rimasto soddisfatto dell’esperienza. Per quanto riguarda l’impatto ambientale anche in questo caso i risultati sono importanti dato che oltre il 50% dei lavoratori si reca sul luogo di lavoro con la propria auto e solamente il 5% va in bicicletta o a piedi (il resto utilizza i mezzi di trasporto pubblici).
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